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15 Febbraio 2022 alle ore 20:45
Il Pomo d’oro / Federico Guglielmo / Giovanni Sollima
“Al-Bunduqiyya” – The Lost Concerto
Antonio Vivaldi (1678 – 1741)
Concerto in si bemolle maggiore RV 547
traduzione di Arbereshe Moje Bokura
elaborazione per violoncello, archi e basso di Giovanni Sollima
Giuseppe Tartini (1692 – 1770)
“Lieto ti prendo e poi” – Aria del Tasso e Gondoliera
per violino e basso
Giovanni Sollima (1962)
Il Concerto Perduto
per violoncello, archi e continuo
(dalla restante parte di viola del Concerto RV 787 “Per Teresa”)
Antonio Vivaldi
Sinfonia dall’opera “Dorilla in Tempe” RV 709
per archi e basso
traduzione di Cipro – “Kartsilamades” (Tre balli Karsilama)
elaborazione per violino, violoncello e gruppo strumentale di Giovanni Sollima
Giovanni Sollima
Moghul
per violino, archi e basso
Antonio Vivaldi
Concerto in la maggiore RV 546
per violino, violoncello “all’inglese”, archi e basso
Recitativo dal Concerto “Grosso Mogul” RV 208
per violino e basso
“Il Proteo o sia il mondo al rovescio” Concerto in fa maggiore RV 544
per violino, violoncello, archi e basso
Giovanni Sollima
The Family Tree
per violino, violoncello, archi e basso
Basta una scorsa ai titoli dei lavori composti da Giovanni Sollima per avere un’idea della varietà di collaborazioni e ambiti culturali che si sono avvicendati lungo la sua carriera: riferimenti che spaziano da Empedocle a Bruce Chatwin, da Leonardo a Warhol, da Pasolini a Baricco. Sollima opera attraverso una serie di cortocircuiti temporali che permettono di leggere il suo lavoro anche attraverso il punto di vista dell’anacronismo (una delle sue prime composizioni si intitola Musica per sonar a più strumenti dialogando fra antica et moderna).
Al-Bunduqiyya – The Lost Concerto è un omaggio a Venezia quale luogo di convivenza di comunità diverse, provenienti dal Mediterraneo, dalle terre del Nord, dal Levante. Una città scomparsa ma di cui si trova traccia, ad esempio, nella toponomastica: Salizada dei Greci, Riva degli Schiavoni, Campiello degli Albanesi…
Una città di contaminazione, fertile terreno per il fiorire delle arti ma anche, secondo Giorgio Agamben, il luogo in cui abitare, oggi, è come leggere una lingua morta. A condizione di ricordare che di una lingua non si dovrebbe mai dire che è morta.
Tanto più questo vale per la musica: qualsiasi composizione rivive nel tempo attuale dell’esecuzione e dell’ascolto. Far risuonare i frammenti vivaldiani oggi, in una nuova composizione, li apre a possibilità inedite, a una nuova vita.